L'Avvenire, domenica 27 maggio 2007
Laura Pariani, la voce dei bambini
È un romanzo nero che ha come sfondo la Buenos Aires degli immigrati italiani, polacchi e di altre etnie, che vivono nella miseria
di Fulvio Panzeri
Laura Pariani è una scrittrice vera, ma soprattutto fedele alla tradizione della sua scrittura, con il suo impasto linguistico che unisce dialettalismi lombardi, lingua italiana, ricorso allo spagnolo, visto che l'Argentina è considerata da lei una sorta di luogo parallelo alla sua Lombardia ancestrale e perduta in un tempo di fatica, dolori e disperazioni. Quando questi due luoghi o queste patrie dell'anima riescono a trovare una sorta di mimetismo, tale da renderle un luogo unico, vissuto realmente nel corpo della scrittrice i suoi romanzi, funzionano come una macchina narrativa perfetta che ha nel ricorso al tema di un'oralità, a volte diretta, altre derivata in forma di narrazione, il punto centrale. Succede anche in questo suo ultimo romanzo Dio non ama i bambini, che è tra le sue opere migliori, dal punto di vista romanzesco, essendo la Pariani sostanzialmente una scrittrice di racconti. Qui la struttura le permette di costruire un romanzo corale densissimo e assai contemporaneo, pur essendo ambientato nei primi anni del Novecento, proprio perché la vicenda narrativa procede attraverso microracconti, storie quotidiane di persone, connotate da nome e cognome, età e mestiere.
È un romanzo che ha come sfondo gli anni duri dell'emigrazione degli italiani in Sudamerica, in una Buenos Aires che è un crogiolo di emigrati, una città babelica, nei cui conventillos convivono italiani, polacchi e altra gente di varie etnie, in condizioni di vita assolutamente miserevole, con i bagni in comune, l'incertezza di un lavoro, gli scioperi e le rivolte, un'infanzia che vive nella strada e che qui vibra tra tenerezza e orrore, in una dimensione che riporta al perché delle radici del male e che s'interroga sull'abbandono di un Dio che permette l'ingiustizia e la miseria. Così uno dei testimoni chiamati dalla Pariani a raccontare questa storia, il maestro elementare, Dionisio Brusa, ci descrive l'ambiente: «Non c'è via d'uscita in questo quartiere: conventillos, mataderos, morti, risse, scioperi, bambini che ricavano i loro giocattoli dalla spazzatura, i grandi che terrorizzano i piccoli e ne ottengono l'obbedienza con le botte». Sembra un breve abstract del romanzo questa descrizione che mette in luce tutti i punti nodali di una narrazione complessa che si avvale delle documentazioni burocratiche, dei racconti orali in prima persona, dei verbali di polizia, di stralci rivisitati dai giornali dell'epoca, soprattutto dai fogli degli anarchici, assai attivi in quel frangente.
Il centro narrativo è uno dei temi forti della narrativa della Pariani, quello del rapporto tra l'infanzia e la morte, tema ancora tabù e difficilissimo da affrontare, che in letteratura ha trovato solo nelle parole della Pariani quelle giuste per non cadere nel patetismo di maniera. La Pariani sente la verità dei bambini: è questa la sua forza. Ne odora e racconta le tenerezze e le crudeltà, come avviene in questo romanzo, dove la figura di Ognissanti Goletti, piccola teppa che si potrebbe definire disadattato, diventa un personaggio indimenticabile del romanzo italiano. Bambini feriti, uccisi, crudelmente bruciati, quegli stessi che vengono definiti i «piccoli martiri della baracca» rappresentano il cuore nero di questa storia lontana nel tempo, che mette in scena fantasmi contemporanei.
Il Primo amore, 28 maggio 2007
La ragazza che affronta il drago
di Antonio Moresco
E’ uscito presso Einaudi Dio non ama i bambini, di Laura Pariani. Leggo questa scrittrice fin dall’inizio. Abbiamo esordito tutti e due nello stesso anno, il 1993, e ci siamo conosciuti subito. Negli ultimi tempi abbiamo anche viaggiato insieme, per un paio di anni, prima nell’Argentina continentale e poi nella Terra del Fuoco. Ed è stato proprio a Ushuaia, nella Terra del Fuoco, che abbiamo visitato il grande penitenziario dove è stato rinchiuso per anni, fino alla misteriosa e atroce morte, il protagonista dell’ultimo libro di Laura, soprannominato "nano orecchiuto", giovanissimo serial killer di bambini, che ammazzava conficcando loro un chiodo nella testa. Da questa terribile e scostante figura è nata in Laura l'idea di un romanzo composito, corale, inventato, ricco e forte, pieno di corpi e di vita. Il migliore dei suoi libri "argentini" e uno dei suoi migliori in assoluto, quasi una summa della sua particolare sensibilità favolistica, linguistica e umana nello scandagliare il dolore dei bambini e del mondo, la sua più coraggiosa favola nera.
Non tutti gli ultimi libri di Laura mi sono piaciuti allo stesso modo, ma questo è un’impennata, è speciale. E’ il libro di una scrittrice che non indietreggia, di una ragazza che affronta il drago. Io non lo so se i personaggi reali o possibili evocati da questo libro erano veramente così, parlavano così, pensavano così. E’ probabile di no. Ma, dopo avere letto questo libro, ci sembra che non potessero essere che così, parlare così, pensare così. Quando succede questo, vuol dire che siamo di fronte a qualcosa di raro. Questo è segno che, attraverso il misero mezzo della parola, il miracolo dell’incarnazione è avvenuto. In questo libro la forte impronta personale, sentimentale e linguistica della scrittrice "sfalsa" tutto quello di cui parla, ma proprio per questo ha la possibilità di porsi in modo proporzionale dentro e "contro" la vita e di farne sentire la forza e il peso attraverso le pagine di un libro. Solo così il male riesce a essere ancora dicibile. Cosa che non sarebbe stata possibile con la stessa tridimensionalità e intensità attraverso altre forme narrative apparentemente più "comunicative": giornalistiche, storiche o antiquariali. E che è invece possibile nell’invenzione artistica proporzionale, che può sviluppare organi di senso e potenzialità mentali sopite. Esperienza che rende vuote, superficiali e addirittura grottesche le diatribe giornalistiche autoreferenziali e funzionali di questi anni e di questi mesi sul presunto modello unico di rappresentazione della "realtà" e sulla capacità o meno degli scrittori italiani di farvi fronte. Anche la "realtà" è creazione, invenzione. Per aprirla ci vuole un movimento altrettanto creativo e inventivo. Per descrivere la sua maschera basta la denominazione. Per spaccare la sua maschera ci vuole l’invenzione e la creazione.
Il Corriere della Sera, 24 giugno 2007
Ma emigranti e bambini non ballano il tango
di Ermanno Paccagnini
Una storia di cent'anni fa, tra 1908-1912, in una Buenos Aires "che non finisce mai" agli occhi dell'immigrato. Una storia riletta sì in chiave di romanzo, ma senza romanzarla, dato che l'invenzione apporta non finzione, quanto piuttosto un complemento che non concede requie: né al lettore (è pur sempre storia di omicidi), né come pacificazione. Perché quella che Laura Pariani racconta è sì storia di bambini, ma nel senso del titolo: bambini che non solo non salvano il mondo, ma che è già tanto se, essi stessi "vivi per caso", riescono a salvare se stessi. Vicenda di omicidi crudeli, dunque: coi bambini quali vittime, ma pure risolutori del caso grazie al loro sguardo disincantato. Una vicenda però dal duplice profilo. Orizzontale, quello della storia: il fondo thriller, anche se ovviamente a differenza di autorità e adulti che "non vogliono" vedere e capire, il lettore non fatica a individuare il responsabile, preso comunque dal crescendo che l'autrice opera scavando dentro quella sua perversità frutto d'una follia "da poveri". E un profilo verticale: lo scavo narrativo nel mondo dell'immigrazione italiana condotto con difficile ma raggiunto equilibrio tra pietas e spietatezza dello sguardo.
Perché questa è innanzitutto la modalità rappresentativa di quella realtà da girone infernale dei conventillos dalle porte sprangate a sera, che dicono d'una prigione fisica, psicologica e metaforica, e dove anche il nome - Villa Basura, ossia immondizia - ribadisce quella condizione di miseria che la Pariani rende rimescolando in senso ulteriormente degradato - da universo emigrante - un clima da Napoli tra Malaparte della Pelle e Granili della Ortese, raggelato dalla voluta assenza di carnalità e visionarietà. Pare davvero un mondo senza salvazione; ove, se c'è salvezza - nel caso dei bambini -, è a prezzo della loro innocenza. Sicché gli omicidi dei bimbi divengono lo specchio riflettente il costante sottaciuto omicidio culturale e sociale dell'immigrato che, sia italiano o polacco, diviene il condensato del "brutto della vita": sporco, pitocco, ignorante. Lo specchio dell'illusione d'una "Merica" da libertà in cui invece, per sopravvivere, si svendono ai bordelli bambine poco più che decenni, si rinfocola il sogno frustrato in un'utopia anarchica regolarmente sanzionata da un carcere più punitivo dei crimini comuni, ci si affida addirittura a materiale da riciclare scovato in quella spazzatura in cui i piccoli si muovono "come pesci nell'acqua".
Un racconto che Laura Pariani, con abile mescidazione linguistica di dialetti e argentino e tecnica narrativa tutta sua, affida a una costruzione a puzzle, accostando focalizzazioni di tanti personaggi (tra prima e terza persona, e pure documenti) con quelle di situazioni (qui i giornali) in una struttura non più circolare come in passato ma a spirale. E ritagliandosi come già altrove uno spazio proprio con corsivi di canzoni-narrazioni interiori dei bambini. Dove risiede il segreto dell'efficacia del suo sguardo, che adotta la prospettiva del bambino: orizzontale, diretta. Uno sguardo per giocare sino in fondo la sfida del non essere "narratore distaccato". Che è anche il modo di rivivere il sogno bambino di un mondo diverso.
Bambini fuori dal coro
di Carla Benedetti
Dio non ama i bambini di Laura Pariani avanza rapido e avvincente per una via impervia, poco frequentata dai romanzieri italiani. E' infatti un romanzo non solo corale, ma i cui personaggi sono per la maggioranza bambini o adolescenti. Tantissime voci e punti di vista si susseguono e si intrecciano con grande sicurezza stilistica. E sono tutti personaggi vivi, credibili e drammatici. Nessun cliché, nessuna semplificazione retorica. Ognuna di queste piccole figure è colta in un momento di paura, di sogno o di incubo, persino di riflessione sulla vita e le sue zone oscure, mentre fronteggia quel "fango originario" che, come dice una delle canzoni dei bambini interpolate nel testo, "torna a riemergere, per volontà di profanazione della vita". La storia è forte, densa, e culmina spesso in momenti di suspense. Un movimento interno spinge questa sorta di favola sul male a crescere man mano, portandosi dietro sempre più materia, come una valanga, fino allo scioglimento finale. Premesso ciò, si può anche dire di cosa parla il libro senza rischiare di affibbiarlo a un genere non suo. Parla di immigrati italiani a Buenos Aires agli inizi del '900 e delle loro feroci condizioni di vita, ma non per questo assomiglia a un romanzo storico. E' ispirato a una storia vera, ricostruita anche attraverso documenti d'archivio, ma non è un romanzo documentario. Parla di uccisioni di bambini, di un colpevole che per tanti anni la fa franca e di indagini a un certo punto svolte dai bambini, ma non è un noir. Mescola spesso parole dialettali lombarde e spagnole, ma non è un romanzo mimetico. E' un libro che sembra nascere da un'ispirazione, che attrae la narratrice (vedi la "Canzone della bimba che sono stata") in zone esperienziali e sentimentali che un tempo erano vive in ognuno di noi, poi offuscate dall'età adulta.