Piero alla guerra

in libreria da maggio 2015

Piero alla guerra

Dalla quarta di copertina:

Rievocando Fabrizio De André, che cantava la follia dell’odio nella sua ballata La guerra di Piero, Laura Pariani narra storie che s’incrociano lungo tre conflitti: la Grande Guerra sul fronte del Carso; la seconda guerra mondiale nella ritirata italiana di Russia e il conflitto tra Argentina e Inghilterra nel 1982 per le isole Malvinas. Sono tre giovani Pieri che, come tanti coetanei, partono per una guerra che non hanno voluto. Con tre Ninette che aspetteranno inutilmente il loro ritorno: «Stasera, finita la commemorazione dei caduti, sono tornata a casa col magone: quanto parlare a vuoto con paroloni altisonanti. Il cielo è terso, brillante di stelle. Quand’ero piccola mi contavano la favola che le stelle sono gli occhi delle persone morte per amore. E chissà che non sia vero che soltanto l’amore, e non l’eroismo, possa concedere l’eternità…»

 

 


IL BOOKTRAILER

 

la prima pagina

 

   

PIERU CRIVELLI
Prima Guerra Mondiale

 

Il banditore del Comune lesse il proclama in piazza, affianco al vascone dove si macerava la canapa e si portavano le vacche a bere. E pur tra i paroloni altisonanti che si intendevano appena, e patapìm e patapàm, tutti capimmo che ci era cascata addosso la guerra: che a chi spettava per l’età sarebbe presto arrivata la cartolina per insoldatarsi e che, quando la Signora Patria chiama, bisogna obbedire.

Poi fu la volta del discorso del Sindaco, il cavalier Borloni. Con voce severa parlò del dovere di difendere la “terra nostra”. E a quel punto tutti avremmo dovuto mangiare la foglia che la storia non ce la contavano affatto giusta: ché lo sapevamo benissimo che la terra era mica nostra, ma solo del padrone.

Anche quel vecchio bacucco del sciùr Conte volle dire la sua, quando venne a fare il solito giro di controllo nella corte degli Ursìtt, il sabato sera. Contava della guerra come la fosse una cuccagna; diceva: «Sarete vestiti, alloggiati e mangiati per mesi e mesi, tutto a spese dello Stato. Senza mettere nel conto tabacco e grappa a gratis». Gli uomini stavano tutti schierati sotto il portico a scoltarlo con il cappello in mano, e allora mepà si prese coraggio e domandò fuori dai denti: «Ma adesso chi curerà le stalle, le vacche e compagnia bella? Chi manderà innanzi i lavoréri della campagna, se qui a casa restano solo i veggiùni e i pissinlècc?». E le donne, al sentirlo, si sciugavano gli occhi nel grembiale. Però dal sciùr Conte venne solo una scrollata di spalle.

Le sere di quella settimana, all’osteria, la gente aveva provato più sete del solito, ma pochi avevano davvero voglia di discutere, come di solito succedeva quando in paese capitava qualche novità; tanto meno desiderio di cantare o giocare a peppa-tència.

Poi, alla messa granda della domenica, il prete disse che Domineddìo aveva mandato la guerra per colpa dei nostri peccati di malizia; e che tanti sarebbero morti, carne da cannone, per colpa di quel malarbètto Re d’Italia frammassone senza Dio, che tante lagrime e sospiri aveva strappato al Santo Papa a Roma.


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