ALTRE RECENSIONI | TORNA



Archeologia dell'inno politico

di Fausto Amodei

 

Il titolo del libro è, alla lettera, un verso dell' Inno dell'Internazionale , composto dal dottor Stanislao Alberici Giannini nel 1875, da cantarsi sull'aria della Marsigliese . E proprio alla decisiva influenza che ebbe La Marsigliese nel modellare l'innologia politica, prima giacobina ed in seguito anarchica e socialista in Italia dalla fine dal XVIII a tutto il XIX Secolo e oltre, è dedicato uno dei saggi di Bermani. Fin dal 1796 l'autore ritrova un “ Inno patriotico sull'aria Allons enfants.” pubblicato a Bologna; passando per un “Inno patriotico sul metro ed aria del Francese ‘Allons Enfants de la Patrie' (…) offerto al rigenerato popolo piemontese (…) cantato nella Nazionale Università all'inalzamento dell'Albero della Libertà” del 1798; fino al citato Inno dell'Internazionale dell'Alberici Giannini, per arrivare ad altri inni che assumono della Marsigliese originale la traduzione del testo da cantarsi su nuova melodia o che propongono un nuovo testo da cantarsi su rifacimenti più o meno fedeli o travisati dell'aria originaria, come il canto Su marciam lavoratori! noto anche come La Marsigliese del lavoro , databile grosso modo immediatamente a monte della prima guerra mondiale. Tanto da confermare un giudizio espresso da Roberto Leydi per il quale: ” La Marsigliese costituisce, attraverso la sua ricca filiazione italiana diretta ed indiretta, il modello di gran parte dei nostri inni politici, fino a tempi recenti, con una permanenza di tono, di simboli, di linguaggio e di metrica che va al di là della coincidenza”. Nello stesso saggio è “raccontato” il singolare itinerario di quest'inno che, dopo oltre un secolo di glorioso servizio alla causa dei progressisti e dei proletari, diventa per la Francia, all'inizio del XX Secolo, un inno nazionalista, e come tale viene rifiutato dal movimento operaio che gli contrappone polemicamente L'Internationale di Pottier e Degeyter; con relativa aneddotica sul fatto che, essendo la metrica dei due inni identica (fino a far supporre che Pottier avesse scritto il suo testo – nel 1870 - perché fosse cantato sull'aria della Marsigliese ) c'era chi si divertiva a sfottere la polizia – propensa ad accettare la Marsigliese ed ad inquietarsi all'ascolto dell' 'Internazionale - cantando il testo di questa sull'aria di quella, e viceversa. A proposito de L'Internztionale , in un altro saggio dedicato a Pierre Degeyter che ne compose la musica, nel 1888, si può seguire, con una certa sorpresa, la vicenda dell'aspra contesa legale che contrappose Pierre al fratello Adolphe sull'attribuzione del copyright dell'inno; contesa legata all'abbandono, da parte di Pierre, del Parti Ouvrier Français, per il Parti Socialiste Unifié; atto che non gli venne perdonato dai vecchi compagni tra i quali l'editore, che per ripicca riuscirono a far attribuire i diritti dell'inno ad Adolphe, rimasto fedele al partito d'origine. Sempre in materia di aneddotica sui più famosi inni del repertorio sociale, può essere istruttivo, per capire meglio il clima della lotta politica di quei tempi, apprendere, da un altro saggio, che L'Inno dei Lavoratori , quello su testo di Filippo Turati “era perseguitato con accanimento, ma lo si cantava, lo si suonava, lo si zufolava (…) Chi era colto, veniva condannato a 75 giorni di reclusione per il reato di istigazione a delinquere e di eccitamento all'odio.” La musica dell'inno era opera di Amintore Galli, un cattolico, monarchico, conservatore, autore di oratori sacri e opere religiose. Il saggio ci racconta come abbia potuto avvenire l'inaspettato coinvolgimento di un tale personaggio nella composizione di un inno ritenuto sovversivo. Il Galli aveva composto questa musica per un testo di un certo Luigi Maria Persico, destinato ad un collegio di educande. Turati, che era conoscente del Galli, ritenne che tale musica si adattasse benissimo al proprio testo, e, nonostante le proteste del musicista, se ne appropriò. Fu così che la musica su cui ancora oggi si canta “Su fratelli, su compagne / su venite in fitta schiera;/ sulla libera bandiera / splende il sol dell'avvenir.” fosse nata per rivestire ben altri versi : “Tutto è gioia tutto è festa;/ è tornato il nuovo sole / è tornata primavera / col profumo dei suoi fior.”

Questi brevi cenni per evidenziare come la lettura del libro possa riservare sorprese gradite ed anche a volte spassose. Si tratta di una raccolta di saggi, in gran parte già pubblicati. Averli riuniti in un unico volume, congiuntamente al fatto che le precedenti pubblicazioni erano di limitata diffusione, stante il loro carattere di nicchia molto specialistica, giustifica però ampiamente l'iniziativa editoriale. Alcuni dei saggi, come quelli finora citati, nascono da una ricerca prevalentemente su archivi cartacei, svolta su di una vastissima bibliografia, italiana ed estera, di carattere sia strettamente etnomusicologico che storico-politico.

Ma i saggi più caratteristici del libro sono quelli nati da ricerche sul campo e fondati sulla vasta messe di materiale raccolto nell'ambito della cultura orale: quella cultura che si trasmette attraverso canali di comunicazione che l'autore definisce “popolari o di classe”, e che contrappone ai canali di comunicazione di massa ( mass media ), poiché, a differenza di questi ultimi, i primi sono veicoli di una “comunicazione orizzontale”. Qui al posto dei riferimenti bibliografici troviamo nome, cognome e data di nascita dei “protagonisti” del fadtto, che sono i portatori della testimonianza orale: operai, ex-mondine, pensionati, impiegati comunali, ex-partigiani, militanti dei partiti e dei sindacati operai, ognuno con la propria vicenda politica, economica e sociale alle spalle, a dare consistenza e verità al brano di storia di cui sono stati testimoni diretti : una strofa, un motivo musicale, un fatto, un nome, un'avventura, memorizzati su un registratore e poi, a tavolino, riascoltati, messi in collegamento con un'altra testimonianza registrata, con un foglio volante conservato in un archivio, con un ritaglio di giornale. Come scrive Bermani nel saggio introduttivo : “ caratteristica del canto sociale è che, a differenza di buona parte del canto popolare, i suoi processi di formazione, trasformazione, diffusione e dissoluzione sono quasi sempre documentabili, rimandano cioè a dei precisi qui e dove e quindi anche a degli autori che è quasi sempre possibile identificare.” Ed è sulla base di questa premessa che l'autore, da tutti questi tasselli, conservati e analizzati con la trepida cura che si riserverebbe ai rotoli del Mar Morto, ricostruisce la storia, o un frammento della storia di una canzone di lavoro, di un inno politico, di una strofetta satirica, attraverso i passaggi, le trasformazioni, le aggiunte e le sottrazioni che sono state operate nell'itinerario che questi pezzi di comunicazione orale hanno seguito per arrivare fino al ricercatore.

Si recupera in questo modo, con un'operazione che, oltre che da archeologo è anche da Sherlock Holmes, la nascita, l'evoluzione, l'uso politico, le varianti, anche le più bizzarre, di canti cult , come L'Inno del Sangue (più nota come Il feroce monarchico Bava ), Guarda là cola pianura , Bella ciao, Bandiera rossa (una melodia, questa, usata per diversissimi testi, sia di matrice comunista e socialista, che fascista, dagli interventisti e dagli anti-interventisti, dagli arditi rossi e da quelli neri, fino ad arrivare alle tifoserie interiste) e di altri meno noti.

A proposito della rilevanza che ha il contesto politico e sociale sui “canali di comunicazione popolare”, e sul carattere anche stilistico dei canti sociali che vengono trasmessi attraverso di essi, il libro è ricco di osservazioni molto precise ed a volte inedite. Fra le altre val la pena citare quella per cui l'influenza del canto contadino tradizionale nel repertorio “sociale” risulta più accentuata nel Mantovano-Cremonese “dove la formazione di organizzazioni di difesa contadine risale agli anni milleottocentoottanta” rispetto al Novarese-Vercellese, “dove il socialismo è invece penetrato nelle campagne grazie alle organizzazioni politiche e sindacali cittadine”; o quella per cui i canti del giacobinismo italiano, caratterizzati da elementi stilistici troppo dissimili da quelli popolari “indigeni” (“troppi inni e ditirambi e troppo poche strofe e ritornelli”) rimasero patrimonio di una ristretta élite e non lasciarono traccia nella memoria della classi subalterne, laddove i canti degli oppositori, antigiacobini e filo borbonici, vi lasciarono una traccia profonda.

Va infine rilevato con soddisfazione che l'autore ha ritenuto indispensabile corredare i saggi con la stesura di alcune partiture riportanti le linee melodiche, a volte anche quelle armoniche, dei principali canti di cui ha trattato.

 

( «L'indice dei libri del mese», a. XX, n.9, settembre 2003, p. 26)

 

ALTRE RECENSIONI | TORNA