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Il Gramsci di Togliatti e l’altro

di Giancarlo Bergami

Il proliferare negli ultimi vent'anni di interviste, dichiarazioni, memorie e contromemorie sulla figura e l'attività di Antonio Gramsci pone oramai un'inderogabile istanza di sistemazione e riordino in una materia fluida che la presenza onnivora e, diciamolo pure, l'irresistibile e poco resistito richiamo dei mass media - in particolare delle emittenti radiofoniche e televisive pubbliche e private, o regionali e cittadine - hanno reso più fluida e dispersa in mille rivoli e canali. È arduo oggi per lo studioso e il lettore professionale conoscere con esattezza quante e quali interviste, testimoni, compagni e amici di studi, di lotta, di idee, di confino e di carcere, del comunista sardo (ma anche ben torinese) abbiano concesso, e dove o in possesso di chi, singoli ricercatori o istituzioni culturali e archivi aperti al pubblico, registrate su magnetofono e in videotapes, esse siano custodite. Alcuni testimoni hanno poi fornito, in tempi e a intervistatori diversi, versioni incomplete, non coincidenti e talora non congruenti degli stessi avvenimenti e circostanze.

Non mancano altresì testimonianze reticenti, tendenziose e interessate su episodi e situazioni che coinvolgono gli autori delle fonti orali seguaci del patriottismo di partito a ogni costo e della linea impressa al Pci da Palmiro Togliatti e dalla direzione togliattiana. Le testimonianze rese da Luigi Longo e dai comunisti che furono contro Gramsci nel carcere di Turi sono anzi molto interessate. La prima intenta a forzare il nesso Gramsci/Togliatti, presentando quest'ultimo in veste di amico e discepolo fedele di Gramsci "i cui insegnamenti cercò sempre di seguire e di tradurre nell'azione"1; le altre a negare gli aspetti denigratori e calunniosi dello scontro tra i comunisti incarcerati a Turi, o a sorvolare e minimizzare su comportamenti di allora, in seguito non più condivisi.

Racconti e ricordi autobiografici dei compagni di Gramsci hanno una prima importante utilizzazione nella biografia gramsciana di Giuseppe Fiori (uscita da Laterza nel marzo 1966), in cui il garzonato liceale e universitario, la difficile milizia nel socialismo torinese, e la formazione politica e intellettuale nel capoluogo piemontese sono ricostruiti con dovizia di informazioni in buona parte a quella data inedite o ignorate. Risale invero agli anni Sessanta, per impulso di Alfonso Leonetti (Andria, 13 settembre 1895 - Roma, 26 dicembre 1984) trasferitosi nel dicembre 1960 a Roma con la moglie Pia Carena dopo il più che trentennale esilio in Francia e a Parigi, e grazie alla 0passione di Gianni Bosio (Acquanegra sul Chiese, Mantova, 1923 - Mantova, 1971 ), la ricerca di sodali e collaboratori superstiti con i quali ripercorrere, in dialogo serrato, la vita, la forma mentis, la cultura e le opzioni politiche del comunista sardo al di fuori delle strumentalizzazioni propagandistiche e della mitologia che avevano avuto corso specialmente nel

Pci del dopoguerra. Nel 1966 Bosio fonda a Milano l'Istituto Ernesto de Martino per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario, avviando un tipo di sondaggio storico - documentario in Italia poco o punto coltivato. Nella sede dell'Istituto sono conservati e catalogati i nastri delle ricerche su Gramsci condotte da Gianni Bosio, Cesare Bermani e Mimma Paulesu Quercioli, per un'ottantina di sedute di registrazione complessive, in cui si è teso a fare emergere dalla memoria i fatti nella loro immediatezza e a dare piena risonanza alle impressioni e all'immagine viva che l'intervistato serbava di Gramsci. "Realtà e immaginario - scrive Bermani nell'esplicitare i criteri adottati nel proprio lavoro e in quello di Bosio - sono nella testimonianza orale inseparabili. Proprio per questo l'uso delle testimonianze orali è di per se stesso critico verso gli indirizzi storiografici interamente retti da un'idea piattamente oggettivistica del "fatto" , della "attendibilità", e punta a restituire dignità a quei fatti storici che sono pure la soggettività dei protagonisti e la loro memoria"2. Il metodo seguito da Bermani sulla scorta delle indicazioni di Bosio ha il merito di avere attivato un interesse critico-culturale alieno dai tabù e dalle mistificazioni di certa storiografia di sinistra o comunista ufficiale. La spocchia e la dogmatica sicurezza dei pubblicisti e redattori della stampa e dell'editoria di partito hanno finito per produrre, fortunatamente e per "salutare reazione", una ricchezza di documenti e fonti orali di cui studiosi e commentatori non conformisti hanno tenuto conto in misura crescente. Non bisogna però dimenticare i danni e i gravi ritardi che all'approfondimento del pensiero e del ruolo di Gramsci nel movimento operaio socialista e comunista del suo tempo sono derivati dalla creazione del "mito Gramsci" su sollecitazione e con la regia di Togliatti nel periodo della lotta clandestina, nella resistenza e nel dopoguerra, quando nella propaganda spicciola dell'apparato al "partito di Bordiga" si contrapponeva il "partito di Gramsci e Togliatti, in una endiadi-liaison in apparenza indistricabile, al fine di conferire lustro a Togliatti e farne il vero interprete se non il superatore dell'azione gramsciana. Dopo il 1945 prende corpo il tentativo togliattiano di usare Gramsci quale antesignano e garante della tattica del Pci dagli anni della "svolta" di sinistra del 1930 alla politica dei "fronti popolari" in Francia e Spagna, e alla successiva proposta del partito "di tipo nuovo" in Italia. All'epoca dell'ortodossia staliniana prevalente nel movimento comunista internazionale - di cui Togliatti-Ercoli era stato esponente abilissimo - si giunge a correggere, riscrivere, emendare o sopprimere, interi periodi e brani delle lettere e degli scritti giornalistici di Gramsci, a varare un'edizione purgata, e con chiavi di lettura predeterminate, dei Quaderni del carcere.

La libertà di pensiero e l'indipendenza di carattere, "anche la soggettività - ha ricordato Valentino Gerratana - di giudizio di Gramsci parve [ ...] avessero bisogno della mediazione di Togliatti. Sicché talune affermazioni furono espunte, altre delimitate, altre temperate. Gli apprezzamenti di Trotsky, laddove non c'era anatema, furono tolti; furono corretti i passi nei quali traspariva una qualche presa di distanza da alcuni elementi del pensiero di Engels, furono attenuati accenti di riserva verso l'esperienza sovietica, specie in ordine ai rapporti politici interni"3. Attribuzioni errate per approssimazione e ignoranza o, più spesso, per malafede, interventi maldestri sui testi ad usum delphini, in conclusione l'ingiuria perpetrata ai danni della filologia e della verità testuale, sono stati quasi un malvezzo di editori e curatori, in primis Felice Platone e Elsa Fubini, ispirati da Togliatti, cui spettava la supervisione dei volumi delle Opere di Antonio Gramsci via via messi a punto per i tipi di Giulio Einaudi.

I rapporti dell'editore torinese col Pci guidato da Togliatti, le ingerenze comuniste ortodosse riscontrabili nella programmazione editoriale einaudiana pronta ad accogliere saggi e opuscoli impregnati dei difetti di analisi e del semplicismo pseudoscientifico e non marxista dello stalinismo, rimandano a un capitolo tutt'altro che felice e edificante negli annali della casa dello struzzo su cui si dovrebbe finalmente indagare a fondo. Intanto si conosce quanto basta a rendere lettori e studiosi guardinghi e dubbiosi circa la serietà con cui sono stati curati i volumi gramsciani editi dal 1947(quando uscl la prima edizione delle Lettere dal carcere) fino all'inizio degli anni Settanta, ma ristampati senza modifica alcuna anche dopo l'uscita dell'edizione critica dei Quaderni del carcere .

Esemplare il trattamento riservato al trafiletto - si tratta di un caso tra i molti che possono essere addotti -Bergsoniano! , incluso nel voI. 11 delle Opere, intitolato in modo arbitrario e schematico Socialismo e fascismo (L'Ordine Nuovo 1921-1922, Torino, Einaudi, 1966, pp. 12-15; il trafiletto, non firmato, era uscito in "l'Ordine Nuovo ", Torino, a. I, n. 2, 2 gennaio 1921, p. 2). Non paghi, si direbbe, di avere attribuito il corsivo togliattiano con diversi altri4 a Gramsci, curatori e editori hanno corretto il testo alterando il senso preciso dell'affermazione: " Ma essi [Karl Marx e Friedrich Engels] erano degli idealisti... ", senza alcuna spiegazione così modificata: " Ma essi erano passati per l'idealismo... ". E come se non bastasse, essi (curatori e editori) hanno cancellato tre punti sospensivi alla fine del penultimo capoverso e chiuso tra parentesi quadre l'esclamazione conclusiva del trafiletto ( "Oh! saper essere come l'operaio che sente una sua precisa direttiva di azione e di pensiero) ed è filosofo senza saperlo, come il borghese gentiluomo era prosatore!": esclamazione coerente con il tono sentenzioso di Togliatti trafilettista), supponendo senza recare motivo alcuno e con dubbia immaginazione: "Probabilmente queste ultime tre righe non sono di Gramsc "!

A ulteriore conferma della negligenza con cui si è proceduto nella raccolta e nel lavoro di attribuzione di scritti che avrebbero meritato pazienti confronti e accertabili metodologie di ricerca, valga la perla dell'attribuzione a Gramsci di un testo... staliniano5. Di fronte a simili cantonate e manipolazioni, foriere di confusioni e stereotipi pregiudizievoli a un onesto approccio alle fonti e alla effettiva produzione di Gramsci e di Togliatti, come di altri giornalisti e collaboratori della stampa comunista (e, prima, socialista torinese) di quegli anni, non è chi non veda l'enorme lavoro (iniziato con l'uscita dei primi quattro volumi - sugli otto programmati - degli Scritti 1913- 1926 nella nuova edizione promossa dall'Istituto Gramsci e assunta dall'editore Einaudi nel 1980) ancora da compiere per "ricondurre Gramsci e la sua opera in un alveo anzitutto fìlologico e storico, restituendoceli liberi da ideologizzazioni e mummificazioni"6.

In questa prospettiva, e per soddisfare l'esigenza di Leonetti di dare "a Togliatti quello che è di Togliatti e a Gramsci quello che è di Gramsci. Ed anche agli altri quello che è degli altri", valore non marginale acquistano le dodici testimonianze, di cui otto orali, pubblicate da Cesare Bermani, e dovute rispettivamente a Andrea Viglongo, Pia Carena-Alfonso Leonetti, Maurizio Garino, Battista Santhià, Giuseppe Frongia, Giovanni Casale, Teresa Noce, Cesare Marcucci, Antonio Pescarzoli, Amedeo Pecci, Ercole Piacentini, Lina Corigliano7. Ne risulta un ritratto scevro di intenti apologetici, attento a restituire gli aspetti veri o quanto meno verisimili, nonché la durezza di carattere e il gusto del sarcasmo che furono di Gramsci. Viglongo si sofferma sull'intransigenza dell'amico, osservando: "Era un uomo piuttosto duro, sì. In questo era leniniano. Poco incline al compromesso e se vedeva uno tentennare gli dava un calcio. Non è che facesse opera di recupero, ma lo urtava subito insomma. Non aveva delle simpatie a metà. O gli erano amici o li attaccava"8.

Ma, accanto al settarismo di cui "non si vergognava affatto", non c'era freddezza né arroganza nell'attitudine gramsciana, e malgrado l'acredine di cui pure dava prova, egli, a giudizio di Viglongo, "sostanzialmente era un sentimentale". Nonostante fosse capace di non risparmiare alcuno nei Sotto la Mole composti per le cronache torinesi dell'"Avanti!", o nelle note politiche e di costume per "Il Grido del Popolo" e per le tre serie distinte dell'"Ordine Nuovo" - Gramsci polemista era atroce -, e arrivasse a superare il rapporto personale, egli manterrà nei giorni dell'occupazione delle fabbriche, e dopo, l'amicizia personale col riformista Bruno Buozzi, e precedentemente era stato anche amico di Emilio Colombino e Mario Guarnieri, organizzatori e dirigenti sindacali della destra socialista.

Rivelatrice, nel ricordo di Pia Carena, la passione foscoliana di Gramsci, che "amava molto i versi di Foscolo, forse anche la sua figura morale, e ne abbiamo parlato spesso e volentieri anche in passeggiate lungo il fiume. E ne parlavamo con gioia, perche faceva vivere i versi di Foscolo di una vita molto più bella, più viva, più diretta, direi, di quello che si può fare leggendolo personalmente, perché aveva il dono anche di vivificare "9. Tale dote e la grande ricchezza intellettuale aiutano Gramsci a fronteggiare il disagio e le angherie del confino o l'isolamento politico del periodo carcerario, come si evince dalle memorie e dagli efficaci racconti di Cesare Marcucci, Antonio Pescarzoli, Amedeo Pecci, Ercole Piacentini, Lina Corigliano.

Le testimonianze riportate da Bermani offrono l'immagine di Gramsci nella sua tensione interiore, oltre che nei momenti di divaricazione dalle scelte di Togliatti e del Pci. Nelle domande di Bermani, e nelle risposte e osservazioni degli interlocutori, ritorna nella sua pregnanza il confronto Gramsci-Togliatti, impostato e letto quale opposizione di due modi di concepire e praticare l'ufficio del partito comunista, i rapporti interni agli organismi operai tra dirigenti, quadri intermedi, militanti e popolazione lavoratrice non sindacalizzata né iscritta al partito.

Due modi di vedere che conducono Gramsci, isolato dai compagni e dal partito nel carcere, a criticare i metodi staliniani di direzione politica e a prendere posizione contro la "svolta" del 1930 e la teoria del "socialfascismo", e Togliatti-Ercoli, sulla sponda opposta, a divenire strumento e responsabile di primo piano dell'attuazione delle direttive staliniane nel Pcd'I e nell'Internazionale comunista.

Un punto notevole di divergenza dal ruolo e dall'atteggiamento politico di Togliatti è dato dal costante rifiuto gramsciano delle misure poliziesche e amministrative ai danni di oppositori e dissenzienti rispetto alla linea ufficiale vincente. Alla vigilia dei processi staliniani si giudica come "un sintomo di ciò che la politica di per sé pervertisce gli animi, il fatto che dopo una rottura "si scopre" contro il transfuga o il traditore un mucchio di malefatte che prima pareva si ignorassero. Ma la quistione non è così semplice. In primo luogo la rottura è di solito un lungo processo, del quale solo l'ultimo atto si rivela al pubblico: in questa "istruttoria" si raccolgono tutti i fatti negativi ed è naturale che si cerchi di mettere il "transfuga" in condizioni di torto anche immediato, cioè si finge di essere "longanimi" per mostrare che la rottura era proprio necessaria e inevitabile"10. Col meccanismo qui descritto con lucidità impressionante si imbastivano appunto nella Russia delle purghe staliniane i procedimenti giudiziari contro gli avversari o chi fosse solo sospettato di essere tale.

Il punto di vista di Gramsci emerge con nettezza alla luce delle opinioni espresse a Piero Sraffa sul valore probatorio delle confessioni. nel corso di una conversazione databile nel periodo di tempo che va dal gennaio 1935 all'aprile del 1937. La conversazione, riferita nell'estate del 1967 da Sraffa a Leonetti, è stata riportata da quest'ultimo col seguente commento:

Dichiarò Sraffa -e credo di citarlo testualmente -: "Gramsci non riteneva la confessione come una prova. Diceva che la confessione è un principio giuridico del Medioevo". Tale reazione di Gramsci ai " processi di Mosca " mi parve in verità un po' tenue. La questione infatti non era per niente "giuridica". Il problema non era di "garanzie giuridiche", anche se queste rappresentavano un elemento essenziale nei processi. Il problema era soprattutto politico, al tempo stesso che umano. [...] Alla fine, togliendo ogni validità di prova alle "confessioni", Gramsci faceva crollare l'edificio dei processi staliniani, costruiti unicamente sull'auto-accusa degli imputati11.

Le obiezioni gramsciane scaturiscono dalla riflessione, maturata prima dei grandi processi staliniani, a proposito della procedura processuale che richiedeva la confessione dell'imputato (specie per i delitti capitali) per emettere la sentenza di condanna: "l'"habemus confitentem reum" pareva il fastigio di ogni procedimento giudiziario, donde le sollecitazioni, le pressioni morali e i vari gradi di tortura (non come pena, ma come mezzo istruttorio)"12. La critica al mezzo della confessione, a quello che Nikolaj I. Bucharin definirà al suo processo nel 1938 un principio giuridico di tipo medievale13, è ricavata dal metodo, proprio della filosofia della prassi ossia della interpretazione gramsciana del marxismo, di ricostruire la personalità oggettiva e quindi la reale dinamica degli accadimenti storici e le cause complesse e profonde di essi. Nel riferirsi all'espressione di Marx contenuta nella Prefazione alla Critica dell’Economia politica (1859), secondo cui non si giudica ciò che un individuo è da ciò che egli sembra a se stesso, Gramsci valuta positivamente il rivolgimento introdotto nella procedura penale rinnovata, in cui l'interrogatorio dell'imputato diventa elemento talvolta trascurabile, utile se mai per dirigere le ulteriori indagini dell'istruttoria e del processo - "tanto che l'imputato non giura e gli viene riconosciuto il diritto di non rispondere, di essere reticente e anche di mentire, mentre il peso massimo è dato alle prove materiali oggettive e alle testimonianze disinteressate (tanto che i funzionari dello Stato non dovrebbero essere considerati testimoni ma solo referendari del pubblico ministero)"14. Eventuali violazioni di tale metodo istruttorio vanno addebitate a un arretramento e alla volontà politica di tornare indietro rispetto alle conquiste civili raggiunte nei rapporti fra i cittadini e lo Stato moderno; anzi, egli constata che un'attenuazione del movimento volto ad accertare sotto un profilo oggettivo la responsabilità penale dei singoli cittadini abbia finito per riportare ai vecchi mezzi istruttori e perfino alla tortura, come è accaduto in molti sistemi giuridico-politici. Togliatti, all'opposto, riconosce come decisiva e irrefutabile la riprova della confessione degli accusati, reputando provocatoria qualsiasi richiesta di garanzie giuridiche rivolta ai tribunali sovietici. In polemica con gli anarchici - e con quei comunisti che si lasciavano, a suo dire, ingannare dalla propaganda nemica - che reclamavano le prove della colpevolezza di Francesco Ghezzi, arrestato in Unione Sovietica nel maggio del 1930 sotto la falsa accusa di aver tentato di compiere non specificati attentati, Togliatti respinge (in una lettera del 1931 alla segreteria dei gruppi comunisti di lingua italiana all'estero), in quanto "inammissibile e ridicola, la pretesa dei trotskisti, i quali vor- rebbero che la giustizia e la difesa proletaria, in regime di dittatura, funzionassero con le "garanzie" di cui si parla nei codici borghesi!"15. Ercoli-Togliatti nella sua logica identifica la difesa dell'ordinamento statuale e del gruppo dirigente stalinizzato in Urss - responsabile degli eccessi di arbitrio e di repressione eslege, eretti a sistema di governo - con la causa stessa della rivoluzione e della dittatura del proletariato nella sua dimensione internazionale.

Il filostalinismo togliattiano tocca il parossismo al tempo del nuovo processo (agosto 1936) contro Zinoviev e Kamenev, e del terrore scatenato in Urss contro ogni residua opposizione palese o nascosta. Egli attacca ora con violenza manichea i capi dell'Internazionale socialista e sindacale "che hanno osato alzare la voce per difendere i banditi terroristi", accusati di "un insieme di crimini sacrileghi". Di qui l'inammissibilità di reclamare garanzie giuridiche, poiché "non esiste al mondo un solo tribunale la cui composizione, le cui leggi, la cui procedura, offrano una completa garanzia di equità non soltanto formale, ma essenziale pari a quella del tribunale sovietico proletario, opera di una rivoluzione che ha troncato le radici di tutte le ingiustizie e di tutti i privilegi"16.

Gramsci dal canto suo viene spesso assalito dal sospetto di essere stato abbandonato da Togliatti e dai dirigenti del Pcd'I, tiepidamente o punto interessati a compiere atti e passi per la liberazione del compagno carcerato, né concretamente impegnati ad alleviare le difficoltà della sua vita di recluso. Scrive il 19 maggio 1930 in una lettera inquietante alla cognata Tatiana Schucht di sentire il peso di "vari regimi carcerari", tra i quali più opprimente e doloroso di tutti la consapevolezza di "essere tagliato fuori" non solo dalla vita sociale e familiare, ma anche da legami, relazioni e solidarietà di altra natura: "Potevo preventivare i colpi degli avversari che combattevo, non potevo preventivare che dei colpi mi sarebbero arrivati anche da altre parti, da dove meno potevo sospettarli (colpi metaforici, s'intende, ma anche il codice divide i reati in atti e omissioni; cioè anche le omissioni sono colpe o colpi)"17. E il 13 luglio 1931, sempre scrivendo alla "carissima Tatiana", riflette di nuovo sulla propria condizione di isolamento politico e morale: "Mi pare che ogni giorno si spezzi un nuovo filo dei miei legami col mondo del passato e che sia sempre più difficile riannodare tanti fili strappati"18.

Sugli organi di partito perdura il silenzio sul suo conto; nella rivista "lo Stato operaio", pubblicata a Parigi sotto la direzione di Togliatti, tra la primavera del 1931 e il gennaio del 1935 non si trovano scritti di Gramsci, né si discutono le sue impostazioni politico-strategiche.

È un fatto che la campagna per la sua liberazione segna il passo, e nel contempo non ha seguito l'ipotesi di uno scambio di prigionieri politici fra l'Urss e il governo italiano. Non risulta che siano stati compiuti progressi importanti in tal senso, al punto che diventa legittimo domandarsi con Giuseppe Berti "perché non si riuscì a fare con Gramsci quello che Stalin riuscì a fare con Dimitrov, che strappò dalle mani di Hitler, che erano mani ben più dure di quelle di Mussolini. Anche questo è un problema"19. Un problema più che mai aperto (o riaperto) e sul quale bisogna mantenere desta l'attenzione di storici, militanti e opinione pubblica non solo in Italia, scuotendo l'apatia e le remore burocratiche del governo e degli istituti archivistici dell'Urss, ma interessando del pari le nostre autorità governative e diplomatiche.

Il giornale del Pci, "l'Unità", per la penna dell'ex deputato sardo Umberto Cardìa, ha proposto di chiedere agli storici sovietici e all'attuale direttore dell'Istituto degli Archivi storici di Mosca, Juri Afanasiev, che una seria indagine sia svolta per assodare, col massimo di rigore scientifico possibile, di che natura fu, se vi fu, e, in tal caso, quando e da chi formulato e in quali termini precisi il giudizio di condanna e di emarginazione che colpì Gramsci fin dal periodo immediatamente successivo al suo arresto nel novembre del 1926 e su lui pesò poi come un'ombra (solo su lui o anche, come talvolta capitava, sui suoi familiari rimasti a Mosca?), concorrendo ad aggravare lo stato di sofferenza fisica e psicologica prodotto dal carcere fascista. Gramsci visse gli anni del carcere, costellati da episodi assai penosi di emarginazione e di reiezione da parte di compagni comunisti, non solo a Turi nel 1930 e nel '31, ma anche, per esempio, a Civitavecchia nel dicembre del 1933, con il pensiero dominante (Gramsci parla di "ossessione") della condanna che lo emarginava e lo isolava dai suoi compagni di lotta, proprio nel momento in cui egli aveva maggior bisogno del loro sostegno20.

Sono questioni di non poco conto che non trovano adeguata valutazione da parte dei custodi della memoria di Togliatti e del patriottismo di partito, preoccupati se mai con Gian Carlo Pajetta di criticare duramente Cardìa per le sue affermazioni e di reagire, in sede di Direzione del partito, "con sdegno alle speculazioni" e alle "gratuite insinuazioni nei confronti del Pci" formulate dall' "Avanti!"21. Analogamente sarà difficile attendersi a breve scadenza risposte chiarificatrici ed esaurienti agli interrogativi di Cardìa dagli storici sovietici, già presi da non poco imbarazzo per gli incerti e i rischi della glasnost in Urss.

Le "deplorazioni" della Direzione del Pci, e le prevedibili prudenze degli storici sovietici in un campo scottante come quello che riguarda i rapporti dello Stato e del partito comunista dell'Urss con i partiti comunisti occidentali, non bastano tuttavia a esorcizzare i misfatti e le aberrazioni dello stalinismo in Urss e fuori. Si richiedono, per contro, revisioni ideologiche coraggiose e radicali, non essendo più credibili né sufficienti le dissociazioni su aspetti particolari o i dissensi scontati dalla prassi del socialismo reale. I nodi della biografia di Gramsci e le acquiescenze allo stalinismo e le operazioni politiche di Togliatti non sono tappe e momenti inseparabili di una medesima vicenda: il continuismo è servito in passato a rimuovere ed espungere fatti e contraddizioni di una storia quasi tutta da riscrivere, e forse addirittura mai scritta.

(da "Studi Piemontesi", Torino, marzo 1988, vol. XVII. Fasc. 1, pp. 145-152)

 

Note

1 Cfr. Gramsci vivo nelle testimonianze dei suoi contemporanei, a cura di M. Paulesu Quercioli, prefazione di G. Fiori, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 78. Per L. Longo, che non dice nulla delle "differenze tra Gramsci e Togliatti sul piano ideologico e politico ", chi "tenta di presentare Togliatti come un profìttatore del prestigio di Gramsci, come un mistifìcatore, fa semplicemente opera di calunnia e rovescia la verità" (p. 75).

2 C. BERMANI, Gramsci storico e Gramsci mitico, in Gramsci raccontato. Testimonianze raccolte da Cesare Bermani, Gianni Bosio e Mimma Paulesu Quercioli, a cura di C. Bermani, Isti- tuto Emesto de Martino, Roma, Edizioni Associate, 1987, p. 8.

3 I " Quaderni ", un cantiere che continua a produrre. I ntervista a Valentino Gerratana, di Eugenio Manca, in Antonio Gramsci. Le sue idee nel nostro tempo, a cura di C. Ricchini, E. Manca, L. Melograni, Roma, Editrice l'Unità, 1977, p. 153.

4 Sulla sfortuna toccata al corpus di corsivi qui richiamato si rinvia al mio contributo Togliatti trafilettista dell' "Ordine Nuovo " quotidiano (Con tre trafìletti conosciuti e sedici riconosciuti di Palmiro Togliatti, 1° gennaio - 4 maggio 1921), in "Belfagor", Firenze, a. 32, n. 6, 30 novembre 1977, pp. 653-685.

5 Cfr. Il partito del proletariato [testo tradotto e riassunto dalle Questioni del leninismo, di Stalin (ora nella traduz. di P. Togliatti, Roma, Edizioni Rinascita, 1952, II ed., pp. 85-90)], in "L'Ordine Nuovo", terza serie, a. I, n. 6, 1° novembre 1924; poi in A. GRAMSCI, La costruzione del partito comunista. 1923-1926 [a cura di Esa Fubini], Torino, Einaudi, 1971, pp. 205-206.

6 C. BERMANI, Gramsci storico e Gramsci mitico, in op. cit., p. 7.

7 Il vol. cit., Gramsci raccontato, è corredato di una cassetta che utilizza nastri magnetici registrati e dischi conservati presso l'Istituto E. de Martino. Il "saggio sonoro" si articola nei capitoli: I moti dell'agosto 1917; Dall'"Avanti!" ai Consigli di fabbrica; L'occupazione delle fabbriche; Gli anni dell'avvento del fascismo; La posizione di Gramsci in carcere; in cui è possibile riascoltare, all'interno di una sequenza di "citazioni " a cura di Bermani, Franco Coggiola, M. Paulesu Quercioli, le voci di A. Viglongo, G. Frongia, G. Castagno, Pia Carena, C. Ravera, B. Santhià, C. Boccardo, M. Garino, U. Terracini, A. Leonetti, T. Noce, R. Montagnana, G. Como1lo, V. Bian- co, G. Zamis, T. Odolini, R. Cigarini, E. Lussu, G. Berti, L. Basso, S. Pertini, A. Scucchia, B. Tosin, E, Piacentini, G. Trombetti.

8 Cfr. Gramsci raccontato, cit., pp. 58-59. Un "settario" che tuttavia riusciva simpatico e gradevole, ad onta della irregolarità leopardiana della sua statura: "Ma la testa - ha scritto A. Pescarzoli - era bella: scrigno cranico di grande capienza, folti capelli neri con tenuissime striature grige, ciocche ribelli, fronte ampia, normale di naso e con pinne vibratili; bocca con labbra sottili, ferma; sguardo, dietro gli occhiali stringinaso sprizzante intelligenza, arguzia, ironia Sorrideva e il suo sorriso era giovanilmente canzonatorio, privo [...] di acredine o amarezza " (ibid., p. 153)

9 Ibid., p. 67.

10 A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell'Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, vol. III, Torino, Einaudi, 1975, p. 1745.

11 A LEONETTI, Gramsci, Togliatti e le "confessioni", in "Il Ponte", Firenze, a. 31, n. 7-8, luglio-agosto 1975, pp. 785-786.

12 A. GRAMSCI, Quaderni, cit., p. 1888.

13 Cfr. ROY A. MEDVEDEV, Lo stalinismo, Milano, Mondadori, 1972, p. 224.

14 A. GRAMSCI, Quaderni, cit., p. 1888.

15 P. TOGLIATTI, Opere, a cura di E. Ragionieri, III, I. 1929-1935, Roma, Editori Riuniti, 1973, pp. XCI- XCII.

16 Si veda l'art. di Ercoli, Les enseignements du procés de Moscou, in "L'Intemationale Communiste", a. 18, n. 10-11, octobre-novembre 1936, p. 1270 e sgg., poi tradotto in KRUPSKAJA-FISCHER, Il complotto contro la rivoluzione russa. Gli insegnamenti del processo di Mosca contro il centro terrorista di Trotskii e Zinovijev, a cura del Pci e per i tipi delle Edi- zioni E.A.R., 1945, pp. 33-35 [ed. francese: Le complot contre la révolution russe, Paris, Bureau d'Edition, 1937] .Un primo inquadramento della posizione di Togliatti al processo si legga in P. ORMEA, Le origini dello stalinismo nel Pci. Storia della " svolta" comunista degli anni Trenta, Milano, Feltrinel1i, 1978, pp. 51-54.

17 A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, vol. 1, a cura di A. A. Santucci e altri, prefazione di P. Spriano, Roma, Editrice l'Unità, 1988, p. 234.

18 Ibid., p. 299.

19 Cfr. Gramsci vivo, cit., p. 133.

20 U. CARDIA, Per Gramsci fu fatto tutto? In carcere l'"ossessione" della condanna che lo isolava dai compagni di lotta. Una riflessione su Comintern e partiti comunisti, in "l'Unità ", Roma, a. 65, n. 43, 24 febbraio 1988, p. 3.

21 Cfr. Il Pci sullo stalinismo e Gramsci: " Reagiamo con sdegno alle speculazioni". "Deplorevole" anche un articolo su "l'Unità", in "l'Unità", n. 45, 26 febbraio 1988, p. 3.

 

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