Un ragazzo va a una festa, incontra una ragazza
vestita di bianco, ballano insieme, si piacciono. Le offre un caffè, e
lei bevendolo si macchia il vestito; perciò, riaccompagnandola a casa,
le presta la sua giacca. Il giorno dopo torna a prendere la giacca, e i
parenti della ragazza gli dicono che è morta da vent'anni. La giacca
viene ritrovata drappeggiata sulla pietra tombale nel cimitero lì
vicino.
Oppure: una signora va a una festa lasciando il bambino con la
babysitter. Telefona a casa, e la ragazza le dice che il capretto è
pronto e sta per metterlo in forno. Si precipita a casa e trova il
bambino avvolto nello spago, col rosmarino sotto le ascelle, pronto alla
cottura.
Ritrovo queste storie nel libro di Cesare Bermani, Il bambino
è servito, ma le sapevo già. La prima me la raccontò, in
modo tanto convincente da farmi perdere il sonno, mia sorella;
l'altra me l'ha raccontata mia suocera, anche lei persuasa che fosse
vera.
Tutte e due, più tardi, facevano parte del patrimonio di racconti e
credenze degli studenti universitari con cui lavoro. Un effetto della
scoperta di queste "leggende metropolitane" è stato quello di
avvicinarci immensamente il folklore: nell'età della modernità
tecnologica, paure e credenze misteriose e terrificanti non sono affatto
patrimonio di popoli primitivi o gente ignorante ("folk",
appunto) o residui del passato, ma appartengono a noi, al nostro tempo,
alla nostra famiglia, alla nostra classe.
Cesare Bermani parte proprio da questa osservazione: non solo le paure e
le ansie dell'antichità sono ancora tutte intere nel nostro subconscio
e nel nostro patrimonio narrativo, ma la modernità, anziché
dissolverle le ha complicate e ne ha aggiunte di nuove. Il ritorno dei
morti, la paura dello straniero, il diffondersi della peste si
articolano ora in nuovi modi di morire e nuovi contatti con l'alterità
sconosciuta: l'automobile (l'autostoppista fantasma, il motociclista
decapitato), le piante e gli animali esotici (i coccodrilli delle fogne
di New York - ma anche, come argomenta persuasivamente Bermani, la
pantera nelle campagne di Roma), la bella straniera incontrata in
viaggio che ci regala l' Aids. Anzi: se un tempo l'incontro solitario
con i terrori dell'alterità (l'altro mondo, altri paesi, altra gente)
era esperienza eccezionale e traumatica, la mobilità contemporanea ne
fa esperienza quotidiana - e non per questo meno preoccupante.
Il merito di Bermani è di attribuire a queste storie tutta la serietà
e l'importanza che meritano, sottraendole sia al gusto un po' macabro
dello "strano ma vero" al limite della barzelletta con cui
erano state accolte dai media, sia alla fiera catalogazione nell'indice
dei motivi folklorici a cui le riducono folkloristi pure meritevoli
(come Harold Brunvand). Bermani ha una lunga consuetudine con
l'immaginario popolare: dalla storia orale del movimento operaio e della
resistenza, alla ricerca sul campo sulla musica popolare, allo studio
del mondo magico tanto nel Sud rurale quanto nel Nord urbano.
Ciò che rende Bermani uno studioso assolutamente unico (e
perciò brutalmente e materialmente emarginato, fino alla disoccupazione
cronica) è la disinvoltura con cui si muove oltre i confini delle
discipline, l'irriverenza per le categorie ossificate che frammentano il
reale a seconda degli strumenti con cui lo si osserva. Per questo,
Bermani coglie relazioni anticonformiste fra i diversi strati della
cultura popolare, e non solo di essa. Scopre leggende e magia nella
resistenza (in un notevole articolo sul mito della "macchina
rossa" partigiana) e nelle occupazioni delle fabbriche (ha
raccontato le fatture contro il padrone fatte dagli operai bergamaschi
negli anni '70); e mette a nudo gli effetti profondi dei rapporti
sociali che si manifestano dentro le storie contemporanee di magia.
Con un arco vastissimo di fonti orali e scritte (compresi i disegni dei
bambini delle scuole, o quello "xeroxlore" che utilizza fax e
fotocopia per una diffusione che ha le qualità capillari e anonime
della tradizione orale), Bermani segue le sue leggende sia sul piano
geografico (in Italia, ma in America e in altri paesi europei), sia sul
piano storico, ritrovandone antichi precedenti folklorici e letterari.
L'interpretazione si muove soprattutto su due piani, antropologico, e
psicanalitico: la persistenza di queste costruzioni dell'immaginario
diventa una critica implicita ma radicale di quella che è forse la più
diffusa e manipolata delle leggende "metropolitane", il mito
della modernizzazione.
Al di là dell'impianto antropologico e psicoanalitico, infatti, Bermani
è soprattutto uno storico. Coglie quindi il dato essenziale nel fatto
che, per quanto radicate nel profondo, queste storie poi non sono solo
adattamenti dell'arcaico al moderno, ma effetti profondi del moderno
stesso. Il folklore cambia sempre osmoticamente, rielaborando materiali
dati invece di inventarne di nuovi: ma è nel dettaglio apparentemente
marginale della variazione che si concentra la storicità del racconto.
Così, il fatto che il fantasma adesso faccia l'autostop invece di
andare in carrozza, o che a cuocere il bambino sia una babysitter
anziché una strega, non è un mero aggiustamento di ambientazione: è
l'indicazione del fatto di come il rapporto con la morte, con la
maternità, con l'alterità sia reso diversamente problematico dalla
mobilità del nostro universo contemporaneo. Per fare un esempio: in
tutte le storie del fantasma al ballo e affini, quello che colpisce me
è che vi figura in modo così ossessivo il caffè. E' vero (e Bermani
lo nota) che la macchia nera sull'abito bianco ha valenza di metafora
sessuale.
Ma è anche vero che, nelle trasformazioni della cultura operaia
dell'ultimo mezzo secolo, il passaggio
dal vino al caffè, dall'osteria al bar o al salotto, è un momento
estremamente delicato e complesso, che segnala la transizione dalla
dimensione della comunità di pari a quella dell'individualismo dei
consumi e della mobilità sociale. In queste leggende metropolitane,
infatti, la presenza del caffè si accompagna sempre ad un tono
narrativo che mette in evidenza i rituali delle buone maniere, dello
stare in società. Nella sua forma contemporanea, dunque, la storia del
fantasma al ballo ribadisce e drammatizza la crisi del confine fra la
vita e la morte, fra la purezza e la trasgressione, ambientandola nel
contesto della crisi dei rassicuranti confini delle comunità e delle
classi. Nella modernità, siamo ognuno solo, davanti al proprio
fantasma, con la nostra tazzina di caffè in mano.
( "La Talpa Libri" 94, p. 5 in "Il Manifesto",
Roma, 10 gennaio 1992)