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Il fantasma in autostop e la strega babysitter

di Sandro Portelli

Un ragazzo va a una festa, incontra una ragazza vestita di bianco, ballano insieme, si piacciono. Le offre un caffè, e lei bevendolo si macchia il vestito; perciò, riaccompagnandola a casa, le presta la sua giacca. Il giorno dopo torna a prendere la giacca, e i parenti della ragazza gli dicono che è morta da vent'anni. La giacca viene ritrovata drappeggiata sulla pietra tombale nel cimitero lì vicino.
Oppure: una signora va a una festa lasciando il bambino con la babysitter. Telefona a casa, e la ragazza le dice che il capretto è pronto e sta per metterlo in forno. Si precipita a casa e trova il bambino avvolto nello spago, col rosmarino sotto le ascelle, pronto alla cottura.
Ritrovo queste storie nel libro di Cesare Bermani, Il bambino è servito, ma le sapevo già. La prima me la raccontò, in modo tanto convincente da farmi perdere il sonno, mia sorella; l'altra me l'ha raccontata mia suocera, anche lei persuasa che fosse vera.
Tutte e due, più tardi, facevano parte del patrimonio di racconti e credenze degli studenti universitari con cui lavoro. Un effetto della scoperta di queste "leggende metropolitane" è stato quello di avvicinarci immensamente il folklore: nell'età della modernità tecnologica, paure e credenze misteriose e terrificanti non sono affatto patrimonio di popoli primitivi o gente ignorante ("folk", appunto) o residui del passato, ma appartengono a noi, al nostro tempo, alla nostra famiglia, alla nostra classe.
Cesare Bermani parte proprio da questa osservazione: non solo le paure e le ansie dell'antichità sono ancora tutte intere nel nostro subconscio e nel nostro patrimonio narrativo, ma la modernità, anziché dissolverle le ha complicate e ne ha aggiunte di nuove. Il ritorno dei morti, la paura dello straniero, il diffondersi della peste si articolano ora in nuovi modi di morire e nuovi contatti con l'alterità sconosciuta: l'automobile (l'autostoppista fantasma, il motociclista decapitato), le piante e gli animali esotici (i coccodrilli delle fogne di New York - ma anche, come argomenta persuasivamente Bermani, la pantera nelle campagne di Roma), la bella straniera incontrata in viaggio che ci regala l' Aids. Anzi: se un tempo l'incontro solitario con i terrori dell'alterità (l'altro mondo, altri paesi, altra gente) era esperienza eccezionale e traumatica, la mobilità contemporanea ne fa esperienza quotidiana - e non per questo meno preoccupante.
Il merito di Bermani è di attribuire a queste storie tutta la serietà e l'importanza che meritano, sottraendole sia al gusto un po' macabro dello "strano ma vero" al limite della barzelletta con cui erano state accolte dai media, sia alla fiera catalogazione nell'indice dei motivi folklorici a cui le riducono folkloristi pure meritevoli (come Harold Brunvand). Bermani ha una lunga consuetudine con l'immaginario popolare: dalla storia orale del movimento operaio e della resistenza, alla ricerca sul campo sulla musica popolare, allo studio del mondo magico tanto nel Sud rurale quanto nel Nord urbano.
Ciò che rende Bermani uno studioso assolutamente unico (e perciò brutalmente e materialmente emarginato, fino alla disoccupazione cronica) è la disinvoltura con cui si muove oltre i confini delle discipline, l'irriverenza per le categorie ossificate che frammentano il reale a seconda degli strumenti con cui lo si osserva. Per questo, Bermani coglie relazioni anticonformiste fra i diversi strati della cultura popolare, e non solo di essa. Scopre leggende e magia nella resistenza (in un notevole articolo sul mito della "macchina rossa" partigiana) e nelle occupazioni delle fabbriche (ha raccontato le fatture contro il padrone fatte dagli operai bergamaschi negli anni '70); e mette a nudo gli effetti profondi dei rapporti sociali che si manifestano dentro le storie contemporanee di magia.
Con un arco vastissimo di fonti orali e scritte (compresi i disegni dei bambini delle scuole, o quello "xeroxlore" che utilizza fax e fotocopia per una diffusione che ha le qualità capillari e anonime della tradizione orale), Bermani segue le sue leggende sia sul piano geografico (in Italia, ma in America e in altri paesi europei), sia sul piano storico, ritrovandone antichi precedenti folklorici e letterari. L'interpretazione si muove soprattutto su due piani, antropologico, e psicanalitico: la persistenza di queste costruzioni dell'immaginario diventa una critica implicita ma radicale di quella che è forse la più diffusa e manipolata delle leggende "metropolitane", il mito della modernizzazione.
Al di là dell'impianto antropologico e psicoanalitico, infatti, Bermani è soprattutto uno storico. Coglie quindi il dato essenziale nel fatto che, per quanto radicate nel profondo, queste storie poi non sono solo adattamenti dell'arcaico al moderno, ma effetti profondi del moderno stesso. Il folklore cambia sempre osmoticamente, rielaborando materiali dati invece di inventarne di nuovi: ma è nel dettaglio apparentemente marginale della variazione che si concentra la storicità del racconto. Così, il fatto che il fantasma adesso faccia l'autostop invece di andare in carrozza, o che a cuocere il bambino sia una babysitter anziché una strega, non è un mero aggiustamento di ambientazione: è l'indicazione del fatto di come il rapporto con la morte, con la maternità, con l'alterità sia reso diversamente problematico dalla mobilità del nostro universo contemporaneo. Per fare un esempio: in tutte le storie del fantasma al ballo e affini, quello che colpisce me è che vi figura in modo così ossessivo il caffè. E' vero (e Bermani lo nota) che la macchia nera sull'abito bianco ha valenza di metafora sessuale.
Ma è anche vero che,
nelle trasformazioni della cultura operaia dell'ultimo mezzo secolo, il
passaggio dal vino al caffè, dall'osteria al bar o al salotto, è un momento estremamente delicato e complesso, che segnala la transizione dalla dimensione della comunità di pari a quella dell'individualismo dei consumi e della mobilità sociale. In queste leggende metropolitane, infatti, la presenza del caffè si accompagna sempre ad un tono narrativo che mette in evidenza i rituali delle buone maniere, dello stare in società. Nella sua forma contemporanea, dunque, la storia del fantasma al ballo ribadisce e drammatizza la crisi del confine fra la vita e la morte, fra la purezza e la trasgressione, ambientandola nel contesto della crisi dei rassicuranti confini delle comunità e delle classi. Nella modernità, siamo ognuno solo, davanti al proprio fantasma, con la nostra tazzina di caffè in mano.

( "La Talpa Libri" 94, p. 5 in "Il Manifesto", Roma, 10 gennaio 1992)

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